Il titolo di “Madonna della Grazia”, al singolare, non è un errore di battitura. A differenza del più comune titolo al plurale di “Madonna delle Grazie”, infatti, celebra Maria come la Theotókos, Madre di Dio e piena di Grazia. La chiesa fu fatta erigere dal vescovo di Nardò Fabio Fornari per custodire un’immagine della Vergine che, colpita all’occhio destro da un giocatore d’azzardo, avrebbe sanguinato intorno al 1586. Il cantiere fu aperto l’8 gennaio 1590 e i principali esecutori dell’opera furono i costruttori Angelo Spalletta con Giovan Francesco Loverde e l’ingegnoso mastro d’ascia Scipione Fanuli, diretti dal raffinato architetto neritino Gian Maria Tarantino, tutti rinomati interpreti dell’edilizia tardorinascimentale e prebarocca salentina. Entro il 1595 la chiesa fu portata a compimento, almeno nelle strutture fondamentali, con una spesa di poco più di 3.491 ducati. Nel 1597, invece, era ultimato lo splendido portale che, sulla sommità, reca gli stemmi del Capitolo, dei marchesi Pinelli e della civica Università di Galatone. Il vescovo di Nardò Tommaso Brancaccio affidò nel 1675 la chiesa della Grazia alle cure dei frati alcantarini, una famiglia religiosa riformata appartenente al ramo francescano. Il convento fu riscattato nel 1877, dopo la soppressione sabauda del 1866. Il 5 ottobre 1897, papa Leone XIII unificava le tre famiglie francescane degli alcantarini, dei riformati e dei recolletti e la comunità di Galatone diveniva convento retto dall’Ordine dei Frati Minori di San Francesco d’Assisi che, dopo penosi alti e bassi, lo hanno definitivamente abbandonato nel 2013.
La chiesa e il convento della Grazia sono uno scrigno di inestimabili tesori spirituali, storici e artistici: vi sono custoditi i preziosi affreschi tardo bizantini della Madonna della Grazia e del Cristo sposo sofferente, come pure pregevoli sculture, preziose opere di argenteria napoletana e importanti dipinti a olio di scuola giordanesca. Ai primi del Seicento, al cospetto dell’icona della Vergine, fu guarito da un brutto male il piccolo Giuseppe Desa, futuro san Giuseppe da Copertino. Come pure nel convento hanno stabilmente dimorato, tra gli altri, sant’Egidio Pontillo (1729-1812) e il venerabile fra Michele Ghezzi (1872-1955).
Testi: Francesco Danieli