Risale all’anno 1500 il nucleo primigenio della chiesa di San Sebastiano, regina di Piazza Costadura, conosciuta dal popolo come Sant’Antonio, per via del culto introdotto in pieno Ottocento dai francescani osservanti, subentrati ai domenicani dopo la soppressione murattiana del periodo napoleonico. I domenicani avevano preso possesso di questo tempio fin dalla sua erezione, per volere del feudatario Giovanni Castriota, che volle celebrare con tale fondazione la sua vittoria contro le truppe francesi. Per questo lo stesso condottiero albanese fece scolpire il suo trionfo a mo’ di quelli imperiali romani sul portale principale della chiesa, accesso caratteristico anche per la presenza di due leoni lapidei recanti tra le zampe anteriori l’arme dei Castriota, l’aquila bicipite, emblema d’Albania. Nel 1712, come riporta un’epigrafe posta sul portale, la chiesa fu imbarocchita secondo il gusto del tempo e perse le sue originali linee catalano-durazzesche. Anche la facciata cambiò aspetto, venendo ripartita come appare oggi in tre ordini, marcati da cornicioni aggettanti, snelliti da graziose nicchie e agili paraste poste simmetricamente tra primo e secondo livello, ma soprattutto arricchiti dal finestrone in pietra leccese traforata che occupa la parte centrale del prospetto. Artefice principale del restyling fu il celebre architetto neretino Mauro Manieri (1687-1743), specie per la nuova foggia degli altari. Pochi anni dopo l’edificio avrebbe subito ingenti danni, in seguito al terremoto del 20 febbraio del 1743 e sarebbe stato nuovamente modificato nella sua struttura architettonica, soprattutto in seguito alla sostituzione del soffitto a capriate lignee con quello attuale a campate. Tra le chiese di Galatone è certamente quella ridotta peggio, in seguito alle scellerate iniziative personali di un sacerdote del secondo novecento che ne fu rettore. Per questo il pregevole altare maggiore di stampo barocco non è più visibile in maniera unitaria, in quanto smembrato. Le sue volute, il capoaltare e vari fregi sono sparsi qua e là nel presbiterio. Il pregevole pulpito ottagonale in legno intagliato è stato eliminato. Il coro dei frati, sovrastante lo stesso presbiterio all’altezza dell’arco trionfale, è stato completamente rimosso e l’ampia gelosia distrutta. Così pure i quattro altari laterali, affiancati ciascuno da due statue di santi domenicani e non, sono stati impiastricciati da smalti sintetici che alterano la naturale delicatezza della pietra leccese in cui sono eseguiti gli intagli nascondendo numerosi particolari. Sono sopravvissute a tali scempi alcune delle tele presenti nel tempio, dipinti oleografici secenteschi di gran pregio: la Madonna del Rosario, opera dovuta al valente pennello di Donato Antonio D’Orlando (1562-1622 ca.); il Nome di Gesù (la Circoncisione) e la Santa Famiglia, tele attribuibili anch’esse al D’Orlando, ma anche il Martirio di San Pietro da Verona e la Transverberazione di Santa Caterina da Siena, poste nella parete di controfacciata. La chiesa è attualmente sede della confraternita del Pio Monte del Purgatorio.

Testi: Francesco Danieli