Il santuario del SS. Crocifisso della Pietà è una tra le più rinomate chiese barocche del Salento. Capolavoro della controriforma cattolica, è una sorta di chiesa reliquiario, essendo stata ideata e costruita per custodire una venerata immagine quattrocentesca del Redentore, corrispondete alla tipologia iconografica nota in Oriente come Cristo sposo sofferente o Cristo dell’estrema umiliazione e in Occidente come Imago pietatis. Gesù è infatti rappresentato a mezza figura, con le mani incrociate sul davanti e la croce alle spalle, nell’atto di uscire dal sepolcro risorto, ma con i segni della passione. Nella tarda serata del 2 luglio 1621, l’icona fu protagonista di fatti prodigiosi che in breve tempo avrebbero reso celebre il SS. Crocifisso della Pietà in tutto il Salento. Dieci fedeli – intorno alle ore 23.00 – erano assorti in preghiera davanti all’edicola oscurata da un velo, quando la raffigurazione del Cristo (così affermano le fonti) con la mano sinistra spostò il drappo, guardò gli astanti con occhi folgoranti e richiuse la tendina. Passato lo spavento e scoperto l’affresco, i devoti notarono che le mani, prima dipinte legate sul davanti, ora apparivano nascoste dietro la schiena.

Si decise per la costruzione di un tempio in cui accogliere l’immagine prodigiosa. L’edificio però non ebbe la manutenzione che richiedeva e crollò la notte del 2 febbraio 1683, logorato dall’incuria.

Neppure si erano sgombrate le macerie della chiesa crollata, che già il popolo spingeva all’edificazione di un nuovo edificio di culto. A dirigere il cantiere fu chiamato il francescano fra’ Niccolò da Lequile (1648-1730). Al secolo Leonardo Melelli, il frate ingegnere aveva appena trentacinque anni quando accettò l’incarico. Alla fine del Seicento fra’ Niccolò fu certamente tra i migliori architetti del Regno di Napoli, progettando numerose fortificazioni militari ed edifici pubblici, oltre ad opere di edilizia sacra. Se fra Niccolò da Lequile fu l’ingegnere del nuovo tempio del SS. Crocifisso di Galatone, il suo architetto può certamente considerarsi il leccese Giuseppe Zimbalo (1620-1710). Fu lui a progettare la facciata dell’edificio, ma si devono allo stesso modo al suo gusto le linee architettoniche dell’interno, come pure l’impostazione e la probabile esecuzione materiale dell’altare maggiore. Ancora incompleta quanto a decorazioni, ma interamente edificata nelle strutture murarie e nelle linee architettoniche essenziali, la chiesa del SS. Crocifisso fu aperta al culto già nel 1694. Le rifiniture sarebbero state realizzate a più riprese nell’ultimo scorcio del Seicento e lungo tutto il Settecento, man mano che la disponibilità economica permetteva i singoli interventi.

Il tetto della navata, ad esempio, fu subito ricoperto a capriate, rivestite da un tegolato superiore. Solo in seguito gli fu addossato un pregevole controsoffitto a lacunari lignei, realizzato entro il 1696 dall’intagliatore Aprile Petrachi da Melendugno, con la collaborazione dei nipoti Titta e Diego. Nel bel mezzo del cielo appeso fu incastonata la tela oleografica opera del pittore galatinese Pietro Picca, il cui buon pennello pare ispirarsi alla corrente veneta del Cinquecento. Sempre nel 1696 Aprile Petrachi realizzò il delizioso portale principale del sacro edificio, scolpendo invece cantoria e mobile dell’organo entro il 1699. L’organo a canne ivi racchiuso fu congegnato ed assemblato pure nel 1699 dal rinomato organaro Domenico Montedoro da Poggiardo. Nelle nicchie dei quattro pilastri su cui si innestano i pennacchi della cupola furono alloggiate le statue dei santi dottori occidentali Girolamo, Ambrogio, Agostino e Gregorio Magno. Scolpite in legno nel 1708 (San Gregorio e Sant’Ambrogio) e nel 1714 (Sant’Agostino e San Girolamo) da Giovanni Saracino da Martano (Le), furono realizzate su disegno del celebre architetto neritino Mauro Manieri (1687-1744). Alle rifiniture del SS. Crocifisso lavorò anche Emanuele Manieri (1714-1780), figlio di Mauro. A partire dal 1716, nel tempio galateo lavorò di pennello anche il napoletano Aniello Letizia (1669-1762).

Il tempio galateo – a partire dalla facciata – è realizzato con l’intento di presentare la sovranità del Cristo, Crocifisso e Risorto, mediante le categorie proprie del cattolicesimo postridentino. Diviso in tre ordini da altrettante trabeazioni a gettante, è arricchito da effigi e fregi, plasticamente intagliati nella pietra locale. L’Imago pietatis, elaborazione plastica dell’affresco conservato all’interno del santuario, domina il primo ordine. Lo stesso, oltre a figure angeliche e allegoriche, ospita quattro nicchie magnificamente decorate contenenti le statue lapidee degli evangelisti Luca, Giovanni, Matteo e Marco. Verticali paraste composite partiscono il secondo ordine. Vi si inseriscono due nicchie parallele, con le statue di san Sebastiano e di san Giovanni Battista. Al centro, tra le due nicchie, si erge una fastosa loggia centinata, occlusa da un’imponente grata in pietra intagliata. Alle estremità, raccordano i primi due piani brevi volute, increspate di riccioli barocchi e terminanti in slanciate stilobate sormontate dalle possenti statue dei santi apostoli Pietro e Paolo.

Il terzo ordine, sobrio quanto elegante, culmina nello svettante fastigio spezzato, sul quale troneggia la Croce di Cristo, ancorata sul globo terrestre. Ai suoi lati, sulle capricciose volute di raccordo, hanno sede le figure degli arcangeli Michele e Raffaele.

La chiesa, impostata a croce latina, è ricca di fregi, tele e statue. Luccicante della foglia oro che rifinisce paraste, capitelli e decori, l’aula liturgica è cadenzata da quattro cappelle per lato intercomunicanti, tre delle quali munite di altare. Sulla destra, la prima cappella è quella dedicata a sant’Antonio di Padova; la seconda è intitolata alle Anime del Purgatorio; la terza è quella di San Biagio. Il quarto vano di destra, con una campatella ribassata, accoglie la magnifica cantoria e il mobile dell’organo. Al di sotto si apre la porta, che permette l’accesso al tempio da levante. A sinistra, la prima cappella è intitolata a San Pietro; la seconda ospita l’altare della Sacra Famiglia; nella terza cappella è venerata la Madonna del Buon Consiglio. Il quarto varco di sinistra fino al 1984 ospitava la porta di ponente, oggi murata. Alla parete è attualmente addossata un’artistica teca lignea contenente il venerato simulacro in cartapesta leccese del SS. Crocifisso della Pietà.

Il passaggio dall’aula liturgica al transetto è scandito da un maestoso arco trionfale, il cui fronte reca gli affreschi realizzati da Nicola Amorosi da Manduria nel 1784. Nello spicchio di destra è raffigurata Sant’Elena con la Croce, in quello di sinistra San Michele arcangelo abbatte i demoni. Incorona il transetto un cupolotto, affrescato nel 1944 dal torinese Mario Prayer (1887-1959) con il Trionfo della Croce. I due imponenti altari di gusto neoclassico, simmetricamente posti alle estremità del transetto, appaiono posteriori rispetto all’impianto originario della chiesa. Quello di destra è intitolato alla Pietà, quello di sinistra a San Francesco di Paola.

Vero e proprio manifesto della riforma postridentina nel santuario del SS. Crocifisso di Galatone è indubbiamente l’altare maggiore, in cui è incastonata l’antica icona. Il sacro riquadro è simmetricamente affiancato e racchiuso da due coppie di colonne tortili, issate su quattro possenti plinti. La faccia anteriore di questi ultimi reca in bassorilievo una delle quattro virtù cardinali: Prudenza, Fortezza, Giustizia e Temperanza. Contro la dottrina protestante, per cui è la sola fede a guadagnare la salvezza, le virtù cardinali indicano le disposizioni interiori da far maturare per raggiungere la perfezione e la beatitudine eterna. Sui due eleganti plinti intermedi, alloggiate tra ciascuna coppia di colonne, si ergono le effigi dei santi Francesco di Sales (a sinistra) e Francesco Saverio (a destra). Indicano la vittoria della Chiesa cattolica sull’eresia e sul paganesimo. In due nicchie poste parallelamente alle estremità dell’altare, sopra le porte d’accesso alla sagrestia, sono alloggiate le statue dei santi arcangeli Michele (a sinistra) e Raffaele (a destra). Ancora una volta contro le tesi protestanti, indicano l’aiuto divino prestato all’uomo, chiamato comunque in buona parte a guadagnarsi la salvezza con le proprie forze. Solo due colonne corinzie, riccamente ornate, ripartiscono il piano superiore. La nicchia centinata posta in posizione centrale reca la Mater Dolorosa, affiancata da Maria di Magdala (a sinistra) e Giovanni Evangelista (a destra). Alle estremità del cornicione, in parallelo, due possenti angeli danno fiato alle trombe del giudizio. L’ordine superiore è delimitato orizzontalmente da un secondo mensolone, su cui si articola una superba cimasa con al centro il Volto Santo di Cristo, dipinto dal Letizia nel 1742. Due coppie di angeli, recanti i simboli della Passione, siedono sulle quattro sporgenze del cornicione. Sull’intera scenografia si staglia un grazioso baldacchino a corona, con lo Spirito Santo scolpito al suo interno in forma di colomba. La tela della Resurrezione, realizzata sempre dal Letizia e posta al centro della campata del presbiterio, rammenta il destino di gloria che attende chi ha vissuto – nonostante tutto – nella fedeltà di Cristo.

Testi: Francesco Danieli